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Delle tante leggende ingiustificate che circolano intorno alla vita e all'opera di Alessandro Manzoni, una delle più pertinaci è quella che vuole l'autore dei "Promessi sposi" abbandonare la letteratura dopo la conclusione del grande romanzo. Il che farebbe di Manzoni un autore in silenzio per oltre trent'anni, fino alla sua morte, che giunse nel 1873. Al contrario, egli continuò a lavorare malgrado l'età e la salute, in particolar modo a questo saggio: un immenso tentativo di raccontare in modo originale la storia della Rivoluzione francese, confrontandola con ciò che allora si chiamava la Rivoluzione italiana, ossia con l'impresa del Risorgimento. Fin quasi ai suoi ultimi giorni portò avanti questo sforzo con accanita lucidità e grande indipendenza di vedute, scostandosi dai racconti celebrativi e dalle propagandistiche condanne di nostalgici dell'Ancien Regime. Mettendo a frutto la sua profondissima conoscenza dei fatti, attingendo a un gran novero di memorie, testimonianze e atti parlamentari, il Manzoni racconta in maniera personale e appassionante, da romanziere, da linguista e da giurista, la vicenda forse mai letta, certo mai scritta così, dei primi cruciali mesi del 1789, in cui a suo giudizio è già implicito tutto ciò che poi sarebbe venuto, fino a Napoleone e oltre.